I vicoli della piazza si animano, al calar del sole, di un insolito scontro. I protagonisti si trovano ad affrontare un pericolo imprevisto, generato da magia della peggior specie e, pur pagando un alto prezzo, riescono a riportare la quiete nella stradina.
La sera cala lenta sulla Capitale, e le ultime luci del giorno scivolano lungo i tetti, mentre la piazza si svuota a poco a poco. È in un vicolo secondario, poco distante dal cuore della città, che si apre la scena destinata a segnare un nuovo capitolo nelle cronache dei presenti. Due uomini di mezza età, corpulenti e dall’aspetto trasandato, approfittano della quiete per compiere un atto di viltà: hanno stretto contro il muro un giovane ragazzino, un lavoratore umile che stringe tra le mani il piccolo sacchetto contenente la paga giornaliera. L’avidità e la brutalità si leggono nei loro gesti, nei pugni serrati e nelle lame consumate dal tempo che portano ai fianchi. Le parole con cui lo intimano a consegnare il denaro sono dure e minacciose [Dacci quello che hai, ragazzo, non farci perdere tempo.] Il giovane, terrorizzato, non osa gridare; sa che un rumore in più potrebbe costargli la vita.
La tensione cresce nel vicolo, mentre i due uomini avanzano per ridurre lo spazio della vittima, pronti a strappargli ciò che stringe al petto. È in questo momento che giungono i primi a rompere l’equilibrio della scena.
Fulgor, cavaliere della Capitale, rientra verso gli alloggi dopo una giornata di incombenze. Non veste la consueta armatura, ma porta con sé due spade corte e un pugnale, sufficienti a difendersi e ad imporre la propria autorità. Quando i suoi occhi si posano sul vicolo, riconosce immediatamente la prepotenza in atto. Si arresta a pochi metri dai due malviventi, e con voce alta e ferma richiama la loro attenzione [Qualcosa non va, lor signori?!] Il suo tono non lascia spazio a esitazioni: l’intervento è inevitabile.
Poco dopo giunge Ashasa, guardiacaccia dal passo deciso, con arco e pugnale al fianco. Non interviene subito, ma osserva, scruta, pronta a cogliere i dettagli della scena. Con voce calma si rivolge al cavaliere, [Tutto bene?] domandando più per stabilire un contatto che per avere una risposta.
Segue Tabata, la cui presenza si annuncia con passo lento, quasi rituale, e la veste nera che sfiora le pietre. Porta con sé arco, pugnale e fiale, ma soprattutto uno sguardo tagliente, privo di sorpresa o indignazione. Si pone a distanza, come un’ombra, e osserva la situazione senza fretta, misurando parole e gesti.
Infine appare Deacastalia, Custode degli Arcani. Il suo cammino l’ha condotta verso la piazza, e il suo istinto affinato percepisce un’ombra inusuale provenire dal vicolo. Non ha ancora visto ciò che accade, ma il suo corpo già vibra al contatto con un’aura oscura e crescente.
L’uomo con la barba irregolare, irritato dall’intervento di Fulgor, si volta verso di lui e risponde con tono scontroso: [Affari nostri, messere. Voltatevi e lasciateci concludere.] Le sue parole sono piene di arroganza, ma velano una crescente irritazione. L’altro malvivente, invece, continua a premere il ragazzo contro il muro.
Il cavaliere tenta la via della diplomazia [Siete consapevoli che farvi giustizia da soli non è previsto tra le leggi del regno, vero?] Un monito fermo, pronunciato con autorevolezza. Ma l’uomo non intende cedere. Con un gesto improvviso, sguaina la spada lunga e la punta contro il gendarme. Il ghigno che accompagna le parole è beffardo: [Allora vuoi davvero giocare al cavaliere? Vieni, vediamo quanto vali senza l’armatura.] L’attacco è imminente.
Intanto, l’altro malvivente nota un tremore nel ragazzo. Le convulsioni lo scuotono, le pupille si perdono all’indietro, e la borsa con le monete cade a terra con un tintinnio. [Questo ragazzino ha qualcosa che non va…] esclama spaventato, facendo un passo indietro. Il sacchetto resta dimenticato, mentre la vera minaccia prende forma.
L’uomo con la spada cala un fendente deciso verso Fulgor, mirando alla porzione tra collo e spalla. Il cavaliere, con destrezza, scarta all’indietro e lascia che l’avversario si sbilanci. Con un balzo rapido conficca il ginocchio nello stomaco del nemico, piegandolo in due e togliendolo momentaneamente dal combattimento.
Ashasa, nel frattempo, agisce con precisione lancia l’Artiglio della Terra e intrappola in un’unica rete tanto il ragazzo quanto il malvivente che gli era accanto. I piombi serrano i corpi, mentre le fibre imbevute di resina rilasciano un vapore che smorza aggressività e forza, ottenendo l’effetto di intorpidire i movimenti. Per un attimo, anche il ragazzo sembra placarsi.
È in quell’istante che Tabata scocca. La sua freccia si conficca nella gola dell’uomo che aveva attaccato Fulgor. Il corpo si arresta di colpo, gli occhi si spalancano nel vuoto, il sangue sgorga e lo travolge in un singulto agghiacciante. Cade riverso, morto, con lo sguardo ancora fisso nell’irreale.
Deacastalia, che si è ormai addentrata nel vicolo, osserva la scena senza ancora intervenire. Percepisce che la fonte della corruzione è nel ragazzo, e attende il momento in cui agire sarà inevitabile.
Il silenzio che segue è ingannevole. Il ragazzo, seppur immobilizzato, inizia a ringhiare con voce non più umana. La sua pelle si lacera e dalle ferite emergono liane spinose, grossi rampicanti che si torcono e crescono. Il corpo si deforma, si inspessisce, diventa un essere vegetale dalle proporzioni mostruose. L’orrore è nel volto: una bocca carnivora, spalancata e piena di denti aguzzi, che si avventa sull’uomo accanto e lo divora vivo. Ogni morso strappa carne e sangue, e con ogni boccone la creatura cresce, le liane si ispessiscono e la rete di Ashasa scricchiola, prossima a cedere.
Fulgor non indugia e affonda le lame nelle scapole del mostro. Le liane reagiscono e cercano di avvinghiarsi alla gola del cavaliere, spinose, pronte a succhiargli energia vitale. Fulgor percepisce un senso di debolezza improvvisa, ma non arretra. Ashasa e Tabata, con arco e frecce, mantengono la mira, attente a cogliere il momento decisivo.
È la Custode a cambiare le sorti. L’energia accumulata in lei trova infine sfogo: dalla sua mano scaturisce un fendente di luce purissima che taglia le tenebre. Il bagliore bianco esplode nel vicolo, costringendo tutti a schermarsi gli occhi. Una lama luminosa colpisce il petto della creatura, non per distruggerla fisicamente, ma per recidere la radice della corruzione.
Le liane prendono fuoco, avvolte da fiamme candide che bruciano senza calore né rumore. Il mostro urla e si contorce, mentre le fibre vegetali si consumano fino a ridursi in un groviglio che si disfa in fumo nero. L’odore acre di marcio invade l’aria, e il vicolo rimane avvolto da un silenzio irreale.
Al centro delle pietre, non resta corpo né legno, ma un piccolo oggetto: una ciocca di capelli rossi, legata da un filo nero, macchiata di sangue. È l’unica traccia di ciò che il ragazzo è stato e di ciò che lo ha trasformato.
Fulgor raccoglie la ciocca e la conserva, pur avvertendo un’influenza strana. La sua carne sembra reagire, e ben presto si renderà conto che portare con sé quell’oggetto lo rende vulnerabile alla luce del sole, come se essa prosciugasse le sue forze invece di donargli vigore.
Ashasa, terminata la tensione, recupera l’Artiglio e lo ispeziona con cura. Lo strumento ha retto, ma le corde portano i segni della prova. Rivolge uno sguardo a Deacastalia e pronuncia parole gravi: [Dovremo trovare l’origine di tutto questo. Da qualche parte, su quest’isola, ci deve essere un accumulo di quell’energia.]
Tabata, abituata all’oscurità, mal sopporta la luce che l’ha accecata per un istante. Recupera la calma e, con ironia, si rivolge alla Custode [Era meglio se restavo nell’ombra, mi hai accecata. Lavoro niente male, forse un po’ troppo appariscente… ma niente male.] Le sue parole, dure e sottili, confermano l’ambiguità del suo ruolo.
Deacastalia, immobile, lascia che la tensione si sciolga lentamente. La sua voce, quando si rivolge alle compagne, è ferma [Nessuno dovrebbe morire.] Eppure, nei suoi occhi resta il peso di ciò che ha visto: un potere oscuro che non appartiene a questa terra e che difficilmente si fermerà a un singolo evento.
La quest del vicolo si chiude dunque con una vittoria amara. Due uomini sono morti, un ragazzo è stato perduto, e nelle mani dei presenti rimane un indizio: la ciocca di capelli rossi legata da un filo nero. Forse un segno, forse una chiave, ma certo la prova che un male più grande si muove nell’ombra dell’isola.
PUNTI E CONSEGUENZE