Un rito di morte e rinascita. Alain affronta il veleno, cade e muore, per poi risorgere trasformato. Elebereth è testimone e custode, colei che lo sostiene nel vuoto e che lega il loro destino. La comunità, spettatrice muta, accetta questa prova come il segno che i due non sono più estranei, ma parte della loro storia.
Alain ed Elebereth raggiungono il campo gitano in una sera che sembra simile a tutte le altre. Il fuoco centrale brucia alto, e attorno a esso uomini, donne e bambini danzano, ridono, suonano. I tamburi battono il ritmo del cuore collettivo, un violino stanco canta melodie di mari lontani, e le voci si intrecciano in un coro che non appartiene a queste terre ma che vibra di radici mai dimenticate.
Le lanterne rosse sospese tra le tende e le carovane tremolano, punteggiando la notte di bagliori rubino, come stelle catturate. Gli abiti colorati, sgualciti e improvvisati dei gitani compongono un mosaico vivente: gonne che si aprono come fiori, collane di vetro e rame che riflettono la luce, bambini che ridono rincorrendosi come scintille.
Alain ed Elebereth camminano tra loro, e per un attimo sembrano parte di quel flusso vitale. Ma non tutto scorre liscio: occhi iniziano a notare la figura di lui, il suo portamento diverso, e soprattutto la maschera del serpente che pende alla sua cintura.
Uno sguardo dopo l’altro, la musica rallenta. Prima i tamburi che smettono di battere, poi il violino che si strozza in un gemito sospeso, infine le voci che si spengono a metà verso. In pochi istanti, il campo intero cade nel silenzio, un silenzio pesante, quasi innaturale.
Restano solo le fiamme a crepitare, secche, mentre ogni volto si volta verso Alain ed Elebereth.
E allora, improvvisa e squillante, si leva la voce di un bambino:
— «Il Serpente!»
La parola risuona come un’accusa, come un annuncio di destino. Tutti gli sguardi si stringono su di lui, e ciò che era armonia di festa diventa un cerchio di sospetto e attesa.
Dal buio della tenda più grande del campo esce Zaira, la veggente cieca. La sua figura è fragile ma il passo è sicuro, perché non ha bisogno di occhi per vedere. Gli sguardi lattiginosi si fissano su Alain con forza sovrumana, e la folla si apre per lasciarla passare.
Il fuoco le scolpisce i tratti, e la sua voce, roca e affilata, rompe il silenzio:
— «Io so perché sei qui. Ma voglio sentirlo da te. Tutti vogliono sentirlo.»
Alain parla. Si presenta non come supplice, ma come uomo libero: racconta di come la sua vita sia stata segnata dal contrabbando, dal rifiuto delle leggi e delle catene dei sovrani. Vede nei gitani lo stesso spirito: un caos che non chiede permesso, una libertà che non si inginocchia. La sua dichiarazione è promessa e sfida allo stesso tempo.
Zaira sorride, ma è il sorriso di chi conosce il futuro già scritto. Ricorda ad Alain che la notte in cui scelse la maschera del serpente, il suo ritorno era già segnato. Poi fa un cenno. Gli uomini e le donne si alzano e chiudono un cerchio serrato attorno a lui ed Elebereth: nessuna via di fuga.
Con voce solenne, la veggente pronuncia la profezia del serpente:
«Quando la notte vestirà le Lanterne di rosso sangue, dal silenzio si leverà il Serpente.
Non è bestia, non è uomo:
è destino che striscia tra l’ombra e la brace.
Colui che fuggirà al suo sibilo cadrà nell’oblio e nel disonore.
Colui che accoglierà il suo morso terrà in pugno il veleno
e lo farà fiamma immortale.
Così il Serpente deciderà chi guiderà,
e chi invece resterà polvere sotto i suoi passi.»
«Portate l’urna», ordina.
Davanti a tutti compare un recipiente semplice, di terracotta grezza, ma in quell’istante carico di un’aura sacra. L’orlo stretto non lascia vedere l’interno. Zaira lo solleva come fosse un reliquiario, e impone:
— «La tua mano… dentro. E sapremo se sei giunto qui per restare, o per vedere compiersi il tuo ultimo giorno.»
Alain non esita. Si sfila il guanto nero, mostra alla folla le cicatrici, il dito mancante, le bruciature: segni della sua sopravvivenza e della sua identità. Poi dichiara, con voce ferma:
— «Io non temo il morso del serpente, perché il serpente… sono io.»
La sua mano affonda nell’urna. In un primo momento incontra solo gelo, ma poi sente la vita strisciare su di lui. Un serpente nero emerge, si avvolge al braccio, risale verso la spalla e il collo. Il campo trattiene il fiato. Poi, improvviso, il morso.
Due zanne si piantano nella carne. Il veleno scorre come fuoco liquido. Le gambe cedono, il cuore accelera e poi si arresta. Alain crolla tra le braccia di Elebereth.
Il serpente abbandona il suo corpo e striscia docile fino a Zaira, che lo raccoglie con calma e lo depone nell’urna. Nel campo cala un silenzio funebre. Persino il fuoco si affievolisce, le fiamme basse e tremolanti.
Alain è morto. Il cuore non batte. Il respiro è scomparso. Il tempo stesso sembra fermarsi.
Elebereth lo stringe tra le braccia, gli occhi pieni di lacrime e rabbia, fissando Zaira con odio. La veggente ricambia con un sorriso crudele: il sorriso di chi sapeva già l’esito.
Secondi che paiono secoli passano.
Poi il corpo di Alain sobbalza. Un colpo violento scuote il petto, il cuore esplode di nuovo in vita. Spasmi scuotono i muscoli, l’aria entra nei polmoni come fuoco e lo lacera dall’interno.
Le fiamme del falò si rialzano alte, il campo trema. Gli occhi di Alain si aprono: non solo hazel, ma illuminati da un nuovo bagliore febbrile, innaturale. È come se il veleno stesso fosse rimasto dentro di lui, mutandolo. Non più solo uomo, ma creatura rinata dal serpente.
Zaira si avvicina, imperturbabile, e lo guarda dall’alto:
— «Adesso puoi camminare in mezzo a noi.»
Poi si volta verso il campo e proclama:
— «Che la musica torni a suonare, e con essa abbia inizio un nuovo capitolo della nostra storia.»
Un sorriso beffardo le increspa le labbra, e aggiunge:
— «E per l’amor del cielo, dategli del vino buono… ché la sorte gli ha già chiesto abbastanza per stanotte.»
Detto questo, rientra nella sua tenda, lasciando il campo a vibrare sotto il peso di quanto accaduto.
Il silenzio si trasforma lentamente in mormorio, poi in melodia. I tamburi riprendono a battere, le corde del violino tornano a vibrare, e il canto dei gitani si rialza, incerto all’inizio, poi sempre più forte.
Le fiamme divampano, il vino scorre, e la festa ricomincia. Ma nulla è più come prima: Alain ed Elebereth non sono più semplici ospiti. Davanti agli occhi di tutti, sono stati marchiati dal serpente, legati a una storia che ora appartiene anche a loro.
PUNTEGGI
Alain: +3 esperienza; -50 salute (per la morte momentanea); -20 energia; +10 mente
Elebereth: +2 esperienza
NOTE: Alain ha scoperto di essere immune al veleno di serpente