Alain, Elebereth, Ashasa e Clariche si ritrovano nella Piazza del Castello, quando improvvisamente tutto cambia.
La piazza del Castello di Aethelion si avvolge di un silenzio improvviso quando un vento gelido si abbatte fra le torce e un tremolio corre lungo le pietre. Nel giro di pochi respiri, una nebbia bianca e compatta si riversa dalle strade laterali come un fiume silenzioso avvolgendo Alain, Elebereth, Ashasa e Clariche. Il mondo si spegne gradualmente: le botteghe, le finestre illuminate, la facciata del castello… tutto scompare, inghiottito da un bianco lattiginoso che cancella ogni contorno.
Quando la bruma si placa, nella piazza resta solo una cosa: un arco d’ossidiana, alto il doppio di un uomo, perfettamente liscio, apparso dal nulla. Chi tenta di fuggire scopre subito l’amara verità: ogni via d’uscita, ogni strada, ogni direzione conduce inesorabilmente sempre allo stesso punto. Davanti all’arco. Il luogo è chiuso, il cerchio è tracciato. E l’unico modo di proseguire è attraversare quella soglia impossibile. Entrare significa oltrepassare il velo della nebbia, e dall’altra parte si apre un corridoio di pietra nera lucida, un materiale che non riflette soltanto la luce: sembra riflettere i pensieri stessi. Le pareti sono lisce come specchi opachi, fredde come vetro sepolto nelle profondità del mondo. Il pavimento produce echi brevi, assorbiti subito dai lati, come se il corridoio fosse un organismo che non permette al suono di scappare. Poi accade qualcosa che spezza ogni idea di realtà.
Sul pavimento compare un’ombra immensa. Una silhouette che si proietta come se una creatura volasse sopra le loro teste, ma non c’è alcun soffitto a indicarne la direzione. L’ombra scivola sulla superficie nera, si allunga e si ritrae, mostrando ali membranose, nere, ripiegate e riaperte con lentezza predatoria. Un alone violaceo contorna la figura, come se una luce invisibile battesse all’interno della pietra. È un drago, o qualcosa che gli somiglia: alto, imponente, alieno. E soprattutto: intrappolato nel pavimento, come se la pietra ne custodisse la sagoma viva. L’aria vibra, poi una voce si leva, non da un punto preciso ma dalla roccia stessa.
La voce non è un grido né un sussurro: è una narrazione spezzata, poetica, antica, che prende forma come un eco libero dopo secoli di prigionia. E parla. Parla come una memoria che non può più essere taciuta:
[..Un tempo… sotto montagne che non conoscono alba… dormiva una forma più grande del buio..]
[..Gli uomini scavavano. Cercavano luce, cercavano ricchezza… e trovarono invece occhi che avevano visto il primo crepuscolo del mondo..]
[..Non seppero nominarmi. Non seppero temermi come si deve temere una notte senza stelle..]
[..Così mi chiusero. Mi incatenarono alla roccia stessa… con vincoli fatti di ombra, gli stessi che ora mi divorano..]
[..Ma una chiave rimase.. forse per pietà, forse per colpa… forse perché nessuno osa cancellare del tutto ciò che teme..]
[..Una scheggia nera… nata dallo stesso buio che avvolse le mie catene..]
[..Nascosta lontano da me. Sepolta dove nemmeno il mio respiro può arrivare..]
[..Trovate la scheggia… prima che il sonno diventi rabbia. Prima che il mondo si accorga… che l’ombra non ha dimenticato..]
Quando il canto si dissolve, la luce nel corridoio cambia e lo specchio antico di Clariche inizia a tremare. La superficie si oscura e si popola di forme confuse, fino a quando un’immagine nitida appare: una scheggia d’ossidiana con una luce viola pulsante al suo interno. Viva. Attenta. È un segno. Un richiamo. Il labirinto, come rispondendo a quel presagio, si anima. Un crepitio esplode in fondo al corridoio e dalle pareti spuntano spuntoni d’ossidiana, prima piccoli, poi sempre più lunghi, affilati, affamati. Emergono dal suolo, dal soffitto, dalle pareti con un ritmo irregolare, come denti che cercano carne. È impossibile prevederli. È impossibile restare fermi.
Correre diventa l’unica scelta. La fuga termina in un vicolo cieco, contro una parete in cui è incastonata una torcia con una fiamma viola. Ashasa e Alain la prendono e in quel momento il pavimento cede. Il gruppo precipita in un cunicolo naturale, scavato a mano, sporco, impregnato dell’odore tipico delle miniere. Il cunicolo si apre in una caverna mostruosamente vasta. Nella penombra, una visione tremolante mostra un drago d’ombra imprigionato in un blocco di pietra nera lucida. Le forme sono confuse, instabili, ma gli occhi viola, spalancati, sono reali e fissi: osservano. Vedono. La creatura però non è lì: la visione è un ponte, un’eco, una finestra su un luogo lontano, forse molte leghe a nord-ovest. Il cunicolo che li ha condotti qui è l’indizio.
Davanti al drago, su un altare reale, non illusorio, giace la scheggia d’ossidiana vista nello specchio. Quando Ashasa, Alain e Clariche la toccano, il mondo esplode in ombra. Lame nere si avvolgono intorno alla sua figura e li trascinano nel buio più totale. L’oscurità è un oceano senza fondo, e dentro di essa si aprono due occhi viola. Poi una voce, femminile, metallica, tagliente, attraversa l’oscurità:
[..Io vi vedo..]
[..E verrò a prendere la scheggia. Essa mi appartiene..]
[..E voi l’avete trovata per me..]
All’improvviso tutto si dissolve.
La caverna svanisce.
Il labirinto svanisce.
L’oscurità si ritira come se non fosse mai esistita.
I quattro si ritrovano nella piazza del Castello di Aethelion, tornata normale, silenziosa, immobile, come se nulla fosse accaduto. Nessuno li osserva, nessuno sospetta. Solo una cosa è diversa: la scheggia d’ossidiana, fredda e viva, pulsante nelle mani di Alain (x punteggio più alto ai dadi).
E la certezza che una presenza, un’ombra antica, un’intelligenza affilata, ora li conosce.
Li ha sentiti.
Li ha scelti.
E presto verrà a reclamare ciò che considera suo.
PUNTEGGI
Alain: +3 punti exp, -20 energia;
Elebereth: + 3 punti exp, -20 energia;
Ashasa: +3 punti exp, - 30 energia, -10 salute (escoriazioni lievi guaribili in un paio di giorni);
Clariche: + 4 punti esperienza (do un punto in più a lei perchè si è giocata davvero bene l'oggetto specchio ricevuto in una quest precedente, al momento giusto, brava), -30 energia, - 10 salute (escoriazioni lievi guaribili in un paio di giorni)